Signori si nasce (e patate)

Signori si nasce (e patate)

Mia zia, una delle sorelle di mia madre, è morta presto. Io ero piccola, e il ricordo più nitido che ne ho è ad un mio compleanno, con me che faccio le scale a rotta di collo per correrle incontro e prendere il regalo, perché sapevo già che era un libro. Mio zio, suo marito, era stato un direttore a scuola. Era severo, sempre elegantissimo e aveva una voce avvolgente, di gola. Gli piaceva la campagna e aveva un orto. Per anni, ogni domenica, veniva da noi a trovare la nonna. Arrivava sempre allo stesso orario, un orario garbato dopo la siesta, vestito sempre di grigio, profumato di un profumo antico e con i capelli tirati indietro e ben pettinati con la brillantina. Non veniva mai a mani vuote, portava sempre qualcosa dall’orto. Verdure, le fave, ma io mi ricordo che portava spesso le patate. Coltivate e raccolte da lui, messe in una cassetta o in un sacchetto di plastica, piene di terra rossa. Poi è morto anche lui, anche al paesello sono arrivati i grandi supermercati e le patate sono diventate quelle asettiche, col selenio, con lo iodio, con la buccia lucida. Oggi però le ho comprate dal fruttivendolo e mentre le pulivo e mi riempivo le mani di terra, mi è venuto in mente questo zio, che quando mia nonna gli disse “Ma perché non ti risposi?”, lui la guardò con sgomento e le disse: “Ma come puoi dirmi questo?”.

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