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Volver

Volver

Questa notte ho sognato una persona. Siamo stati molto innamorati e sono stata io, per motivi che sarebbero lunghi da spiegare qui, a dire fine. L’ho detto senza che smettessimo di essere innamorati ed ha fatto male, ma pensavo che fosse la cosa migliore. Questa notte ho sognato che ci incontravamo e ci dicevamo che eravamo innamorati, ancora. A questo punto, la stessa parte che aveva deciso di dire fine, ha ordinato al mio cervello di cambiare sogno. E l’infame lo ha fatto.

A foggy day in London town

A foggy day in London town

Sicché, alla fine, son riuscita a prendere la decisione. Torno alla mia città. In vacanza soltanto, per ora, per rivederla, salutarla, rinfrescarmi i colori, gli odori. Per andare al Market Porter, per una domenica pigra sulla South Bank, per i miei giri lenti nella National Gallery, per la colonna di Nelson e la birra in pinte. Per le foglie che cadono e gli scoiattoli nel parco, per i giorni di sole a St. James, per The George e i bus. Per Brick Lane e Highgate, per Chris ed il Savoy. Torno alla mia città, all’amore che ho sempre provato, alla pioggia discreta, torno al posto cui appartengo.

Sei tutti i miei sbagli

Sei tutti i miei sbagli

Il titolo non c’entra nulla. Semplicemente è la canzone che questa mattina mi son svegliata con la voglia d’ascoltare. O forse il fatto che sia successo questo significa che c’entra qualcosa. Boh, poco importa. Quello che pensavo, in realtà, è che quando di parla d’amore, siamo tutti nella stessa barca. Tutti cerchiamo di difenderci da colpi improvvisi, tutti ingoiamo certi dolori che mozzano il fiato, correndo solo per non sanguinare. Tutti vorremmo che alcune cose fossero diverse, tutti abbiamo rimorsi grandi come case per cui non basterebbero dieci macchine del tempo a rimediare. Scontiamo colpe di cui faremmo tanto volentieri a meno, a volte gravi, a volte errori di valutazione che si son rivelati tali due minuti troppo tardi. Sapere cosa si vuole più di qualunque altra cosa al mondo, saperlo come certezza incrollabile, saperlo senza poterlo avere, a nulla vale, se non a scavare un buco grande dentro, uno di quei buchi che poi non si riempiono con nulla se non con la mancanza.

La saggezza dell’amore

La saggezza dell’amore

Iniziano quando sei piccolo a spiegarti come, secondo loro, è. Con la saggezza banale di chi non s’è mai sentito il sangue che va così forte che sembra spaccare tutto ti spiegano, scientifici, razionali come chi ti elenca i sintomi di una malattia mortale, com’è che funziona l’amore. Le regole. L’elastico strettissimo dell’età, quello prima di tutti, poi le regole delle cose che bisogna avere in comune. Tutto dev’essere in comune. I gusti, i pensieri, l’amore in quello che si vuol fare. Tempi e modi incastrati e delineati come gli orari dei voli su un aeroporto internazionale. E tu ci credi. Pensi che funzioni così, per davvero. Pensi che siccome non hai mai seguito le regole e ti sei affidata a quel sangue violento che correva, allora è stato per quello che hai affrontato naufragi su naufragi. Ed allora, per paura di naufragare di nuovo ed affogare dici che forse è il momento di seguire le regole. E l’errore, stavolta, è quello. Proprio quello. E mentre affondi pensi che sei diventata saggia tu, questa volta, saggia di altre regole. Che non c’è bisogno di ascoltare la stessa musica, leggere gli stessi libri, fare le stesse cose, perché se fossimo tutti uguali, a seguire gli stessi passi sulle stesse strade, senza sentieri privati, non ci arricchiremmo dell’essere diversi, non impareremmo che si possono apprezzare cose a cui non avremmo mai nemmeno pensato. Il guaio è che mentre lo capisci, è il momento più inutile per farlo. Hai perso. Sei persa. Ed essere saggia anche tu, quello no, non ti serve a nulla.

Qua nessuno c’ha il libretto d’istruzioni

Qua nessuno c’ha il libretto d’istruzioni

Le volte che ho detto a qualcuno “ti amo” ci ho creduto e son stata convinta – molto convinta – di quello che dicevo. Sicura come non mai, ché lo so riconoscere, l’amore. Un mese fa come un anno fa, come diosolosaquanto fa. Poi, tra i “ti amo” ed il resto, ci son troppo spesso troppe altre cose. Sogni che non sappiamo se si realizzeranno, ma è quello che speriamo anche quando ad alta voce diciamo che no, non è così. A volte ci son stati muri e lo sbatterci contro o aerei e distanze impossibili da riempire. Barriere fatte di anni, in un verso o nell’altro. Troppo giovane. O troppo vecchia. Un sacco di cose che son passate, che chissà, passeranno. Cose che resteranno, sempre. Come resta che io son qui, a volte con un “ti amo” ancora nella bocca. Da ingoiare. Forse.

Perseverare diabolicum?

Perseverare diabolicum?

È che a volte ci penso e mi chiedo se magari son solo, boh, immatura, alla fine. Ma non è quello, poi mi dico. Al contrario, è fortuna, ed è bello. È bello che non son servite a nulla le botte, i viscidi, la gente cattiva, a congelarmi il sangue. Perché m’innamoro e m’innamoro sul serio, che ci metto dentro tutto, che riesco a incantarmi degli odori, di voci e ricordi, di poesie e canzoni, di occhi verdi e capelli morbidi, che sento l’aria più leggera, che cammino due metri più in alto degli altri e il sangue va veloce. No, non è essere immatura, avere la capacità di innamorarsi come avessi ancora diciassett’anni, è fortuna, questa. Ed è bellissimo.