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Salento caput mundi

Salento caput mundi

Mi è capitato tempo fa, in una traduzione, di trovare la frase “prodotto nel Salento”. Ho avuto molte difficoltà a tradurla, perché si trattava di spiegare a chi ha commissionato la traduzione (che andrà in tutto il mondo) che il Salento non è il centro del mondo, ma il buco del culo del mondo. Che se io parlo con una persona a Stoccolma, a Tokyo, a Sydney e dico che sono di Lecce, mi guarderà allibita come se stessi dicendo che sono nata nel fondo di un lago. Che chiamarla “la terra più bella che c’è” significa non aver mai messo il naso fuori dalla provincia e che sugli occhi ci sono due fettone di prosciutto belle spesse. Che negli anni passati abbiamo avuto l’oro tra le mani, ma al turismo bello, che porta ricchezza vera e durevole, abbiamo preferito i pochi maledetti e subito dei gruppi di barbari provenienti dalle peggiori province d’Italia che affollano case vacanza e spiagge e abbiamo fatto fuggire con prezzi balordi e servizi scadenti e offensivi famiglie e gente con un minimo di civiltà. Che le persone che oggi si strappano i capelli per la xylella, ieri hanno venduto a due lire i vigneti e domani venderebbero pure gli ulivi se il nuovo business fosse la cicoria. Alla fine ho pensato che forse era meglio tradurre letteralmente.

Bla bla bla, la terra più bella che c’è?

Bla bla bla, la terra più bella che c’è?

Siccome io sono del Salento, allora mi deve piacere la pizzica.  Devo essere fiera dell’appartenenza a questa terra, devo essere contenta se fa quarantadue gradi e c’è uno scirocco che uccide, ché questa è la terra del sole. Brutte notizie, gente. La pizzica mi fa venire l’ansia, il mio cognome è di origine siciliana e a questo caldo scioccante preferirei tre mesi di infaticabile pioggia londinese. Così è.